il ricordo di una prima allieva

di renza miradoli

La Scuola aprì nell’autunno del 1952 e la prima sede fu presso l’Istituto musicale F.Vittadini, grazie al prof. Beccalli, che mise a disposizione i locali per le lezioni e una stanzetta come spogliatoio, limitando le iscrizioni, per motivi logistici, a non più di settanta. La nostra stanza, ampia e luminosa, dava su Piazzetta della Rosa. In un angolo c’era un pianoforte dove si alternavano, per accompagnare con la musica le lezioni, le signorine Marisa Mascello, Anna Maria Moro e Nicoletta Lazzari, allieve dell’Istituto musicale, che ci seguirono per alcuni anni, anche nella sede successiva della scuola.
La nostra prima divisa era un gonnellino a ruota di popeline nero, mutandine nere con elastico, una maglietta azzurra e scarpine nere. La Signora indossava una gonna al ginocchio plissettata bluette, una maglietta in tinta, scarpette da mezza punta, la massa di capelli biondo scuro legata dietro la nuca con un nastro. Per me fu, dal primo incontro e per tutti i diciassette anni che trascorremmo insieme, la Signora Elena. A lei affidai subito, incondizionatamente, il mio corpo da educare e il mio spirito da ingentilire.
La Signora, invece, molto riservata e restia a parlare di sé, non mi raccontò mai dei suoi studi, delle scuole frequentate, dei suoi spostamenti: solo col tempo arrivai a sapere qualche notizia, ma a me bastava seguirla e accontentarla. Ricordo che per anni a maggio le portai un mazzetto di mughetti che raccoglievo nel mio giardino e che lei amorevolmente metteva in un bicchiere d’acqua per portarli a casa finite le lezioni. Ora, a distanza di anni, vengo a sapere che a maggio compiva gli anni.
Parca di complimenti, bastava un cenno del capo o un “va bene” per approvare i nostri movimenti. Non l’ho mai sentita alzare la voce o riprendere con tono alterato qualche allieva un po’ distratta. Il massimo dei commenti negativi era un “Sembrate un piatto di ranocchie”, pronunciato con un mezzo sorriso, quando, preparando un balletto in gruppo, ognuna andava per la sua strada.
Il primo impegno sociale della Signora Elena nella nostra città fu in prefettura. In breve tempo preparò delle coreografie che si adattassero allo spazio di una pedana allestita nel salone, scelse un gruppetto di alunne “grandi”, “medie” e “piccole” a cui affidare le danze e istruì velocemente mamme, nonne e zie su come realizzare i primi tutù con mezze maniche, corpetti di raso bianco e metri e metri di tulle.


Elena Perri Loverdos al pianoforte

Il mio battesimo fu un valzer di Chopin che ballai con Elena, la mia sorella gemella: tutù bianco lungo e un nastrino di velluto nero al collo con un fiorellino bianco. Il pomeriggio a Palazzo Malaspina fu un vero successo, sia di pubblico, che per la scuola, che si fece conoscere e moltiplicò le iscrizioni. Poco dopo ci esibimmo anche al teatro Politeama e al Circolo di Pavia. A giugno ci fu il primo saggio finale al Teatro Fraschini, tra il primo e il secondo tempo di quello degli allievi dei corsi strumentali dell’Istituto Vittadini. Il successo fu tale che negli anni successivi ci fu affidato tutto un tempo, finché ottenemmo un saggio tutto nostro.
La necessità di spazi più ampi richiese, subito l’anno successivo, la ricerca di una nuova sede che venne individuata in una chiesa sconsacrata in Piazza del Papa (un locale sopra l’attuale Aula Magna del collegio Ghislieri). Al di là del portone un lungo porticato, una scala a chiocciola in fondo a sinistra e in cima... un immenso salone con piastrelline rosse esagonali per pavimento, la sbarra lungo tutto un lato, un lungo specchio sulla parete di fronte e nell’angolo di destra l’immancabile pianoforte. Era sinceramente un’altra cosa, avevamo a disposizione molto più spazio in cui muoverci. Sul pianoforte non mancava mai il quadernetto che la Signora consultava per indicare le musiche alla pianista e gli esercizi a noi o spiegare nuovi passi.
La divisa diventò una tutina nera con maniche a tre quarti e calzamaglia.
Intanto alla scuola arrivavano nuove iscritte, mentre a noi “grandi” venivano affidati ruoli più impegnativi. Il mio primo ruolo da” solista” fu quello di Biancaneve nel 1957 in cui, oltre ad affrontare il problema della lunghezza della fiaba, c’era anche un impegno interpretativo a noi nuovo, ma non ci fu difficile entrare nei vari personaggi perché tutte conoscevamo la storia, e ci divertimmo molto aiutati pazientemente dalla Signora che, immagino, fosse anche Lei alla sua prima impresa del genere.
Nel 1963 interpretai Psiche ne “La favola di Psiche” , libero adattamento del mito di Psiche e Amore scritta come fiaba da Francesco Perri, il suocero della Signora. La favola era molto bella, il ruolo drammatico richiedeva un certa intensità interpretativa, a cui non ero abituata, ma la musica di Kabalevsky mi aiutò a realizzarla.

Nel 1965 fui invece l’anatroccolo-cigno della favola “Il brutto anatroccolo”. Ricordo che, per entrare nel personaggio, andai al mercato e comprai una paperetta vera, che misi in giardino per un paio di settimane, e quando avevo un po’ di tempo andavo a vederla, per studiarla bene e imitare le sue movenze: i piedi un po’ piatti, le piccole ali che sbattevano in continuazione, il collo che si allungava da tutte le parti, la coda che si muoveva a scatti... Quando mi sentii pronta regalai la paperetta a un mio cugino e incominciai, ballando, a muovermi come lei. La Signora mi guardava divertita e non mi riprendeva se inserivo di mio qualche passo. I problemi incominciarono quando avrei dovuto trasformarmi in cigno. Più volte la Signora mi fermò per ripetermi: “Ora sei un cigno, ricorda, un cigno, devi alzarti e sbattere le ali come per volare!”
Provai, mi fermai, provai e poi le dissi: “Preferivo essere un anatroccolo”.
“Lo so - mi rispose - si vede!”.
All’inizio degli anni Sessanta cambiammo ancora sede. Il Comune ci concesse l’uso del ridotto del Teatro Fraschini: una saletta per gli esercizi alla sbarra e un ampio salone, affrescato, con lampadari e seminato veneziano come pavimento, luogo ideale per sognare e danzare, eseguendo le coreografie che la fervidissima fantasia della Signora ci proponeva. Il pianoforte venne sostituito da un registratore a nastro magnetico, le lezioni erano conservate in bobine.
Due volte alla settimana passavo a prendere la Signora Elena per accompagnarla a scuola e si chiacchierava un po’, ma non mi ha mai raccontato molto di sé, mentre di me sapeva tutto. Aveva senso dell’umorismo e ogni tanto mi mandava qualche “frecciatina” del tipo “in che lingua pensi di aver cantato?”, quando, preparando l’esame di francese, mi esercitavo con le canzonette!
Con il tempo il mio legame con la Signora si fece sempre più stretto, ero diventata l’alunna da più anni nella scuola, i miei ruoli da solista si facevano sempre più impegnativi. Ballai fino al 1969. Una delle mie ultime interpretazioni fu una parte da solista nel balletto “Andante con anima”. La musica era di Khachaturian, l’abito era di chiffon plissettato rosa e lilla, con una spalla nuda. L’unica foto che ho con la Signora Elena fu fatta proprio in quell’occasione e apparve anche sul giornale locale con la didascalia “La Signora Elena Perri Loverdos con la migliore delle sue allieve”.

comitato di scopo "in ricordo di elena perri loverdos, la signora della danza"

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