La formazione

da milano a parigi

L'accademia

Il panorama della danza nella prima metà del ‘900 ci dà l’idea di un’Europa in movimento e di un’arte desiderosa di ripensare se stessa in un contesto storico soggetto a radicali cambiamenti. Alla fine dell’800 il modello indiscusso è costituito dal balletto romantico, che ha come centri propulsori Parigi e la Russia, in particolare i Balletti Imperiali di San Pietroburgo sotto la “dittatura coreografica” di Marius Petipa e Lev Ivanov; ma c’è anche un pezzo di Italia nel periodo d’oro del balletto, che si realizza non solo grazie alla presenza di grandi interpreti come Pierina Legnani, ma anche - in maniera più duratura - attraverso il magistero tecnico di Enrico Cecchetti (1850-1928), apprezzato insegnante e maître de ballet a San Pietroburgo, poi a Parigi, infine al Teatro alla Scala di Milano.


Roma (1951)

La prima trasformazione del balletto in ambito europeo si deve all’intuito artistico e alla capacità imprenditoriale di Sergej Diaghilev: dal 1909 al 1929, da Parigi a Montecarlo, i suoi Ballets Russes uniscono i migliori interpreti provenienti dai Balletti Imperiali (Anna Pavlova, Tamara Karsavina, Vaclav Nijnskij), i migliori coreografi (Michail Fokin, lo stesso Nijnskij, Leonid Mjasin, Bronislava Nijnskaja, Georges Balanchine), i compositori più innovativi (Igor Stravinsky, Nikolaj Rimskij- Korsakov, Claude Debussy, Erik Satie, Francis Poulenc, Darius Milhaud), i pittori delle avanguardie (Aleksandr Benois, Leon Bakst, Pablo Picasso), i coutorières più alla moda (Coco Chanel).
La straordinaria stagione dei Ballets Russes costituisce il primo tramite indiscusso tra la tradizione accademica russa e l’Europa, e contribuisce in maniera determinante all’evoluzione del balletto narrativo romantico verso il balletto moderno.
A Vaclav Nijnskij inoltre, con le rivoluzionarie coreografie de L’après midi d’un faune (1911) e Le sacre du printemps (1913), si deve l’audace tentativo di rottura antiaccademica delle posizioni e del movimento classico: geniale, spiazzante, contestatissimo.
Il secondo momento nodale è costituito dalla diaspora di artisti in fuga dalla Rivoluzione Russa, che contribuiscono alla conservazione e alla diffusione dei balletti del grande repertorio classico: merita di essere citato Nikolaj Sergeev, regisseur del Marijnskij, che porta con sè gli appunti delle coreografie dei principali balletti di Petipa, scritti con il sistema di notazione Stepanov.
Questi stessi danzatori trapiantano stabilmente in Europa la tecnica accademica (quella tecnica, fusione armonica della scuola italiana e dello stile francese che, a partire dal 1934, verrà codificata da Agrippina Vaganova): è il caso di Olga Preobrajenskaja (1871-1962), già allieva di Marius Petipa, Lev Ivanov e Anna Johansson, prima ballerina del Teatro Marijinsky, che fonda una delle più prestigiose scuole di danza di Parigi. Analogamente Julia Nikolaevna Sedova (1880-1969), già allieva di Cecchetti, ballerina del Teatro Marijinsky e del Bolshoi, diventa coreografa dei Ballets Russes di Diaghilev, per poi dedicarsi all’insegnamento a Montecarlo, Cannes, Nizza. A Sedova e Preobrajenskaja si deve la solida preparazione nella tecnica accademica di Elena Perri Loverdos, mai rinnegata.

La danza libera e l’espressionismo

Negli stessi decenni, si concretizza l’ormai netta separazione tra danza accademica e danza moderna: alla radice di questo processo è una nuova concezione del corpo danzante, portatore di un vissuto personale, mosso dalla necessità di espressione autentica al di fuori degli schemi convenzionali della disciplina accademica.
Nella metà del XIX secolo, l’estetica applicata del francese François Delsarte (1811-1871) aveva introdotto il principio di corrispondenza tra stato emotivo interiore e movimento; tale insegnamento trova terreno fertile soprattutto in America, terra giovane e perciò aperta a numerose sollecitazioni culturali, dove si formano le fondatrici della modern dance, Isadora Duncan (1877-1927) e Martha Graham. In particolare, Isadora Duncan propone una nuova estetica del corpo, libero, scalzo, vestito di tuniche morbide, e un nuovo concetto di danza, in cui il movimento fluido scaturisce dalla spinta interiore che avrebbe origine dal plesso solare: è l’avvento della «Danza libera», che ricrea uno stato primigenio di armonia e di bellezza, di contatto con la natura dell’universo. Con un motivo ricorrente nella civiltà occidentale, e periodicamente riproposto dal Neoclassicismo al XX secolo, il momento di supremo equilibrio fra Civiltà e Natura viene identificato nella Grecia classica; e ai movimenti del coro tragico greco, desunti dalle pitture vascolari, la Duncan riconduce l’ispirazione della propria danza. A partire dal 1898, Isadora Duncan si trasferisce in Europa dove, dopo una serie di spettacoli da interprete, fonda numerose scuole per diffondere il proprio ideale estetico ed educare le fanciulle «alla bellezza e armonia».
Un importante contributo alla sistematizzazione della “Danza libera” è dato dalle teorie di Émile Jaques-Dalcroze (1865-1950), pedagogista e compositore svizzero, ideatore di un metodo incentrato sulla ritmica e sulla coordinazione fra ritmo e movimento, apprezzato da danzatori, attori, terapeuti. Ancora una volta, il fine paideutico è l’unità delle arti, vagheggiata dalla visione neoclassica della Grecia antica.

Da Delsarte deriva la propria impostazione anche Rudolf von Laban (1879-1958), attivo in Germania e Svizzera, considerato il padre della danza libera europea. Teorico eclettico ma rigoroso, Laban esplora non solo la fisicità dei corpi in movimento nello spazio (Coreosofia, Coreologia e Coreografia, accompagnati da uno specifico sistema di notazione, la labanotation), ma anche le tensioni psichiche e spirituali dell’individuo e del gruppo, imprimendo alla propria danza una svolta decisamente espressionistica (Eucinetica o Teoria dell’espressione). Profondamente nuovo è l’interesse per l’aspetto comunitario della danza corale, che il coreografo sviluppa in modo originale attraverso i «cori in movimento»: la danza d’insieme consente all’individuo di recuperare il senso di appartenenza reagendo al sentimento di alienazione indotto dalla nuova società industriale. Una volta intuita la funzione sociale della danza, non è dunque casuale che proprio Laban sia incaricato di creare i movimenti coreografici delle Olimpiadi di Berlino del 1936; la sintonia con il regime nazista, tuttavia, termina con la fuga del coreografo in Inghilterra nel 1938.
La danza d’espressione, il corpo e il movimento come sintesi di componenti fisiche e spirituali, caratterizzano l’esperienza didattica e coreografica di Mary Wigman (1886-1973), già allieva di Dalcroze e assistente di Laban.


La danza come modo di essere: Orchestrica

L’Italia tra tradizione e modernità: Jia Ruskaja

Nella prima metà del XX secolo l’Italia vive - rispetto all’Europa - una situazione di più moderati cambiamenti. Il balletto rimane fortemente legato alla tradizione accademica presso le scuole di ballo del Teatro alla Scala (dove, nel 1925 Arturo Toscanini aveva chiamato Enrico Cecchetti) e del San Carlo di Napoli.

 


Lauro d'argento delle Olimpiadi di Berlino (1936)

Non mancano esperimenti di danza moderna, di respiro europeo, che faticano però a superare la dimensione locale: è il caso della futurista Giannina Censi, e della scuola torinese di Bella Hutter. In questo panorama, un posto di rilievo spetta indubbiamente a Jia Ruskaja.
Nata a Kerč in Crimea nel 1902, Evgenija Borisenko abbandona la Russia nel 1917 insieme al padre, ufficiale dell’esercito imperiale. Giunge a Roma nel 1921, debuttando con un recital di “azioni mimiche e danze”. Suo mentore è il regista teatrale e cinematografico Anton Giulio Bragaglia, a cui si deve il nome d’arte di «Jia Ruskaja», «Io sono russa», ammiccamento alla moda dei Balletti Russi di Diaghilev. Lo pseudonimo, tuttavia, risulta decisamente improprio per una artista totalmente eccentrica rispetto alla tradizione del balletto classico. Tra le tappe europee che precedono l’arrivo in Italia, infatti, la Borisenko ha contatti con la scuola espressionista di Laban e della Wigman; fondamentale il soggiorno a Ginevra, dove studia Medicina e conosce Jacques Dalcroze. Il metodo Dalcroze, in particolare, le consente di approfondire il rapporto tra ritmo e movimento, ed è alla base del metodo originale chiamato Orchestica, con il sistema di notazione dell’Orchesticografia.
Alle interpretazioni come danzatrice, Jia Ruskaja affianca un’altrettanto apprezzata carriera di insegnante a Milano: nel 1929 apre una scuola al Teatro Dal Verme; dal 1932 al 1934 insegna Danza Ritmica e Orchestica presso la scuola di ballo del Teatro alla Scala, di cui è condirettrice insieme a Ettorina Mazzucchelli. Nel 1934 abbandona le scene e apre una nuova scuola in via della Spiga, che poi trasferisce a Monte Tordo in Parco Sempione. La scuola milanese della Ruskaja vanta la collaborazione di musicisti quali Ildebrando Pizzetti ed Ennio Porrino; il repertorio coreografico è costituito da “danze classiche” secondo il modello di Isadora Duncan, ispirate ai canoni estetici dell’arte greca e romana, ma lontane dal codice accademico della danza.

Le allieve costituiscono un “Gruppo Stabile”, che la stampa dell’epoca definisce “danzatrici moderne preparate musicalmente, intellettualmente e fisicamente per le interpretazioni di danze classiche interessanti ed elevate per gusto e finezza” (Corriere della Sera, 2 novembre 1934).
Tra le allieve, oltre a Elena Loverdos, anche Maria Cumani, pioniera della modern dance e futura moglie di Salvatore Quasimodo, e Giuliana Penzi, futura direttrice dell’Accademia Nazionale.
La scuola partecipa alle Olimpiadi di Berlino del 1936, vincendo il lauro d’argento. I giochi estivi di Berlino sono gli ultimi in cui sono presenti competizioni artistiche, ben quindici tra arti figurative, musica, danza, architettura, letteratura; ma, come è noto, altri sono i motivi che hanno reso memorabile questa edizione segnata dalla propaganda nazista: la prima fiaccola olimpica, la forza icastica di Leni Riefenstahl, la folla oceanica inneggiante a Hitler, il trionfo di Jesse Owens.
Non si può nascondere che l’idea di danza della Ruskaja si sposi perfettamente con la concezione della pedagogia femminile promossa dal Fascismo; sarebbe tuttavia sbagliato ridurre l’importanza di questa artista al favore del regime. Con una intuizione profonda, nel 1940, Jia Ruskaja fonda a Roma la Regia Scuola di danza, che nel 1948 diventerà Accademia Nazionale di Danza, e rappresenta il centro normativo della danza accademica in Italia. Alla sua morte, avvenuta nel 1970, la direzione passerà a Giuliana Penzi.


Coreografia vincitrice alle Olimpiadi di Berlino (1936)

Elena Perri Loverdos

Nel 1981, in occasione del decennale della scomparsa, Elena Perri Loverdos dedica alla Ruskaja uno spettacolo intitolato La Danza come modo di essere, ispirato alla monografia omonima che Ruskaja pubblicò nel 1927. Nelle minute che accompagnano la realizzazione del programma di sala, troviamo preziose riflessioni sul magistero “anticipatore e innovatore” della Ruskaja: «Le sorti della danza in Italia non potevano dipendere dagli Enti Lirici, che si rivolgevano a quella élite che all’epoca frequentava i teatri e le sale da concerto. Ben altro effetto avrebbe potuto avere, al contrario, il moltiplicarsi di scuole private di buon livello [...]. Jia Ruskaja soleva dire che una generazione di danzatrici avrebbe dovuto sacrificarsi per dedicarsi all’insegnamento e diffondere in ogni centro la pratica della Danza come integrazione culturale dell’educazione dei giovani. Bisognava dotare gli allievi di una più vasta cultura sia musicale che generale, sviluppare il loro temperamento e la loro sensibilità artistica».
Alla Ruskaja insegnante, alle allieve del Gruppo Stabile e alla prima generazione dell’Accademia Nazionale, Elena Perri Loverdos riconosce (con un vigore insolito per la sua consueta riservatezza) una fondamentale funzione nella promozione della disciplina coreutica: «abbiamo costituito il primo nucleo di coloro che 20-30 anni fa hanno - per così dire - invaso l’Italia con le loro scuole e hanno - io credo - contribuito in maniera determinante a creare quell’atmosfera di favore e di fervore verso l’arte della Danza, che oggi coinvolge larghissima parte del Paese».


Lezione di Orchestrica

Il secondo motivo di riflessione riguarda Jia Ruskaja coreografa, che partecipa di un più grande movimento di rinnovamento, di portata europea, del codice accademico e dei contenuti della danza: e qui Elena Perri Loverdos vi riconosce esplicitamente, come modelli, Isadora Duncan e l’espressionismo tedesco. La consapevolezza delle radici teoriche della Ruskaja non impedisce, tuttavia, di formulare un giudizio severo sia sulla tecnica, sia sulla qualità delle coreografie: «Devo confessare, prima di tutto, che la conoscenza della tecnica accademica era abbastanza limitata in Jia Ruskaja. Chi, come me, ha avuto occasione di lavorare con Maestre come la Sedova o la Preobrajenskaja, stella del Balletto Imperiale di San Pietroburgo, non può non ammettere questo. Tuttavia, quello che per me è stato importante e, come dicevo, anticipatore nell’opera di Jia Ruskaja, risiede nel tentativo di dare al balletto classico un’anima nuova che la liberasse dalle secche della tecnica pura [...]. Anche se, devo ammetterlo, le creazioni coreografiche attraverso le quali Jia Ruskaja tentò negli anni ‘30 e ‘40 di esprimere il suo messaggio forse non raggiunsero vette eccelse, pure io penso che l’idea di fondo che animò quelle creazioni sia stata profondamente giusta. Il balletto classico nella sua versione oggi più viva non è certo quello delle arcaiche moine, così consuete nelle favole da Granducato di Curlandia delle pièces del secolo scorso, ma quello che, pur mantenendo una rigorosa aderenza alle regole della tecnica accademica (senza la quale si entra nel vago, nell’approssimato, nel dilettantesco) tenta di esprimere i desideri, i timori, le angosce e gli slanci dell’uomo immerso nella società moderna».

A questo dettato, di espressione di sé attraverso il rigoroso codice della danza accademica, si attiene tutta l’azione didattica e coreografica di Elena Perri Loverdos nei suoi quaranta anni di insegnamento. Non coltiva un’idea elitaria di danza come prerogativa dei teatri, ma la porta nei paesi, nelle palestre, nelle piazze. Unisce una solida preparazione tecnica a un’idea coreografica non convenzionale, che si esplica più felicemente al di fuori del repertorio del balletto classico. Dotata di una sterminata e modernissima cultura musicale, fa uscire dai conservatori e offre al pubblico la musica di autori contemporanei come Igor Stravinsky, Dmitrij Schostakovich, Dmitrij Kabalevsky, Aram Kachaturian, Arnold Schömberg. Fecondità, modernità e apertura culturale iniziano a vivere nella Pavia degli anni ‘50, inizialmente chiusa, poi sempre più aperta alle trasformazioni economiche, sociali e culturali del ‘900.


Jia Ruskaya tra le sue allieve della scuola di Via della Spiga

Tra loro: Giuliana Penzi (in centro), Maria Cumani (estrema destra), Elena Loverdos (a sinistra).

la scuola di jia ruskaya

via della spiga, milano

La scuola di Jia Ruskaya

Via della Spiga, Milano

Jia Ruskaja imposta Elena Loverdos in una attitude

Lezione nella scuola di Jia Ruskaja, al centro Elena Loverdos

comitato di scopo "in ricordo di elena perri loverdos, la signora della danza"

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